Omelia di S.E. Mons. Vescovo per l'Ordinazione diaconale di Roberto Camerucci
di Roberto Camerucci
Omelia di S.E. Rev.ma Mons. Michele Seccia
Vescovo di Teramo-Atri
Teramo, Cattedrale
Giovedì 19 dicembre 2013
Festa di San Berardo
Carissimi confratelli nel sacerdozio,
Diaconi, Seminaristi,
Carissimi fedeli.
Siete venuti per onorare il nostro patrono San Berardo e, soprattutto, per condividere questa gioia che anima tutta la nostra Chiesa particolare: l’Ordinazione diaconale di Roberto.
La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci fa pensare alla vita di San Berardo, una vita che potrei definire ascensionale e … verso il concreto. Perché?
Quando nel 1116 Berardo giunse a Teramo come Vescovo, era già pervenuto, a suo dire, ma non per Dio, all’apice del suo cammino cristiano. Nato da una famiglia religiosa ed anche benestante, i Conti di Pagliara, Berardo visse, ad un certo punto, una forte esperienza religiosa. Di certo originata dalla fede che aveva iniziato a respirare in famiglia, come avvenne anche per la sorella, Colomba. Non è difficile immaginare quanto abbia influito il meraviglioso contesto della natura, dei monti, dei boschi che circondavano il castello di famiglia, la casa paterna, in cui Berardo cominciò a respirare e a nutrirsi della fede e dall’amore dei genitori. Non contento del solo benessere materiale, ben presto cominciò a desiderare molto di più delle ricchezze terrene, aspirando a quella ricchezza che è l’Amore di Dio, e ancor di più, alla solitudine con Dio.
E gli sembrò di trovare una risposta a Montecassino, tra i figli di San Benedetto, in quell’ora et labora che costituiva, già da alcuni secoli, lo stile di vita di tanti monaci, di tanti fratelli che si dedicavano alla gloria di Dio lavorando umilmente e cantando le lodi del Signore.
Quelli del Medioevo, non erano tempi felici, per le lotte continue tra i Comuni, tra le contrapposte fazioni e l’eco di queste tensioni che coinvolgevano le famiglie, i gruppi sociali come le singole persone, giungeva anche a Montecassino tediando la vita tranquilla di comunità che Berardo credeva di aver ormai conquistato.
Dovette chiedere, perciò, l’assenso del Papa, vista la ferrea rigidità delle regole del tempo, per cambiare monastero e venire dalle nostre parti, precisamente a San Giovanni in Venere. Qui sperimentò ancora più radicalmente ciò che aveva ardentemente desiderato nella scelta cenobitica.
È la vita del monaco, è la vita di chi cerca una familiarità ed un dialogo permanente con Dio, sia pure nel lavoro quotidiano della comunità, ma espressa in una vita isolata, vissuta insieme ad altri, quindi, non da eremita.
È la vita del monaco nella sua comunità!
E proprio da questa comunità, nella quale credeva di aver toccato il cielo con un dito, Berardo fu rimosso quando, nel 1116 divenuta vacante la sede vescovile aprutina con la morte del Vescovo Uberto, fu prelevato dal monastero per essere condotto a Teramo e consacrato Vescovo Aprutino.
Continua, così, il cammino ascensionale perché la lode di Dio che traspira dalle sue parole e dal suo stile di vita, dal suo essere tutto di Dio, per Dio e con Dio, si manifesta e si concretizza nel servizio ai fratelli.
E nel suo pieno coinvolgimento nelle problematiche specifiche di un vissuto quotidiano, quale Pastore di una Chiesa particolare, di una città alla ricerca della pace, del benessere sociale, del superamento di condizioni precarie e disagiate, proprie di quel tempo, è lì che Dio, attraverso la scelta di quanti avevano appreso la fama delle virtù del monaco Berardo, volle porre il segno del Suo Amore per la Chiesa Aprutina.
Berardo, un monaco, ben presto rivelatosi Pastore capace di farsi carico delle sofferenze di una comunità non del tutto pacificata, ancora troppo piena di interessi contrapposti e, soprattutto, profondamente segnata dalla povertà.
A Teramo la figura del Vescovo incarnava una personalità influente, ricca di prestigio, legata al potere, il Vescovo principe, autorità di primaria importanza con il conte. Ma il vero potere evangelico, che Berardo reclamava ed esercitava, era quello del servizio. E in appena sei anni la sua fama si è talmente diffusa e consolidata fino ad evidenziare i segni che ne manifestavano la santità.
Ci guida alla comprensione dell’importanza della vita spirituale quale fondamento del nostro impegno pastorale?
Ci conduce a rendere grazie per la grandezza del dono che abbiamo ricevuto?
«Lo spirito del Signore Dio è su di me
perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione
e mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri…» (Is 61,1).
Le parole del Profeta Isaia ci interpellano, non solo in occasione della festa dedicata al nostro Santo Patrono, ma ogni qualvolta viene celebrata un’Ordinazione diaconale, come quest’oggi, una Ordinazione presbiterale o un’Ordinazione episcopale.
Sono parole che riguardano, comunque, un Ministero e riferiscono gesti sacramentali, non decorativi, ma significativi e performativi poiché dovrebbero conformarci, cioè formare in noi l’immagine del Buon Pastore.
Sono parole riferite a noi, cari sacerdoti, che abbiamo già ricevuto l’Unzione, e sono riferite anche a te, caro Roberto, che ti prepari a questo tipo di servizio.
Hai compreso bene il valore degli anni di formazione del Seminario? Hai solo consolidato la tua preparazione teologica o hai radicato la tua vita in una profonda dimensione spirituale? Ricorda che senza quest’ultima non potrai vivere il diaconato e nemmeno, poi, il sacerdozio.
Noi che già portiamo la responsabilità degli anni del Ministero ricevuto e vissuto, lo dobbiamo costatare e confermare ogni giorno.
Tu che sei alle soglie di questo cammino, però con un vantaggio, l’età matura, nonché con l’esperienza precedente alla decisione di iniziare il tuo percorso in Seminario, devi diventare ancor più consapevole di questa Verità perché il diaconato e, ancor più, il sacerdozio non sono semplicemente un qualcosa da fare.
Essi devono divenire uno stile per via di un’appartenenza, totale e radicale, definitiva.
Sono la risposta ad una domanda : «che cercate?» a cui ne fa seguito un’altra «dove abiti?».Per arrivare ad una scoperta che diviene certezza: «Venite e vedrete» e fa compiere una scelta: «e si fermarono presso di lui» (Gv 1,38-39).
Questa è stata la vita di San Berardo: restare con il Signore piuttosto che a casa sua, con papà e mamma e la sorella, Santa Colomba, dunque, in una famiglia nella quale, comunque, ha sempre respirato un’aria di fede.
E tu, caro Roberto, devi rendere grazie a Dio perché nella tua famiglia hai respirato la stessa vita di fede che da sola non basta anche se può essere determinante. Infatti, è vero che i genitori trasmettono educando, ma sono, poi, i figli che devono far proprio l’insegnamento ricevuto convertendolo in una scelta convinta, profonda e radicale per la propria vita, diventando così amministratori dei beni ricevuti.
È proprio vero. Noi tutti abbiamo ricevuto dei talenti da amministrare(cfr Mt 25,14-30). Ascoltando attentamente la lettura del brano del Vangelo ho riflettuto molto su un pensiero che mi amareggia perché cari battezzati, cari diaconi, cari sacerdoti, cari collaboratori della Chiesa particolare di Teramo-Atri, noi corriamo il rischio di limitare ciò che abbiamo ricevuto ad un solo talento, ma i talenti sono molti e vanno tutti fruttificati. E come sono molti i talenti per due battezzati che si uniscono nel Sacramento del matrimonio nel quale, oltre altalento dell’amore, hanno anche quello dell’educazione dei figli e della responsabilità familiare, così sono innumerevoli i nostri talenti che non possono essere ridotti ad uno, al dono della consacrazione, limitato all’esercizio di una funzione. Il rischio di diventare funzionari del sacro! La consacrazione, lo abbiamo ascoltato nella prima lettura e lo ricordò Gesù all’inizio della vita pubblica nella sinagoga di Nazareth, si manifesta e si esprime quotidianamente nell’esercizio di un Ministero che abbraccia totalmente la nostra vita. Vi esorto a leggere e a meditare l’Esortazione Apostolica di Papa Francesco, Evangelii Gaudium.
Dobbiamo essere membra vive di una Chiesa in uscita che mentre dà gloria a Dio, serve gli ultimi. Mi rivolgo, sì, a Roberto che sta per essere consacrato diacono, ma mi rivolgo a ciascuno di noi, cari fratelli sacerdoti, perché quanto stiamo vivendo, diventi una verifica permanente della risposta alla chiamata, del mettere a frutto i talenti ricevuti.
Oggi San Berardo ci offre un esempio straordinario. Egli ha ricevuto molti talenti, in modi diversi ed in tempi diversi, mettendoli tutti a frutto perché dalla chiamata iniziale, concretizzata mettendosi alla scuola di Dio, è scoperto e vissuto con gioia la vita comune e la lode di Dio. Come Vescovo e Pastore, poi, si è messo al servizio alla comunità per essere tessitore della pace sociale e per voler vedere la comunità che gli era stata affidata come vero Corpo di Cristo che non può essere lacerato da lotte intestine. Mettendo a frutto i talenti scoperti sperimentati nel tempo, il consacrato deve testimoniare e manifestare la presenza dello Spirito impegnandosi per la costruzione della pace ed il superamento di ciò che divide, creando condizioni di vita che concorrono al bene di tutti.
Questo deve essere un aspetto importante della tua esperienza di diaconato, caro Roberto, così come deve essere l’aspetto che tutti noi consacrati dobbiamo riscoprire, costantemente, per dare valore, gioia e speranza alle fatiche di ogni giorno; il Signore ci ha costituiti affinché l’Unzione crismale ricevuta diventi manifestazione dell’Amore di Dio nell’oggi, per il Suo Popolo e per la porzione di Chiesa che ci sono stati affidati.
Per intercessione di San Berardo, deponiamo questa preghiera per la nostra Chiesa particolare nel cuore della Vergine Maria, Santa Maria Aprutina; Lei benedica le nostre famiglie, le nostre comunità, i bambini, che diventi aiuto e speranza per tutti i bisognosi, che interceda per la nostra preghiera per le vocazioni e per la vita sacerdotale, religiosa, matrimoniale, missionaria perché, guardandoLa, possiamo sempre ripetere con Lei: «fate quello che vi dirà!» (Gv 2,5).
Sia lodato Gesù Cristo
Michele, Vescovo
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