Storie. Padre Di Paolo, il prete coraggio, vicino agli ultimi e amico del Santo Padre
E’ un prete di frontiera, quasi alla fine del mondo. Secondo la definizione di Papa Bergoglio, dal quale e’ stato difeso quando i narcotrafficanti che vendono crack e altre droghe sintetiche, nella bidonville da 10 mila persone dove presta la sua opera, lo hanno minacciato di morte.Jose’ Maria Di Paola, 50 anni, origini calabresi, e’ per tutti Padre Pepe, il prete coraggio che vive nella ‘Villa miseria’ di Buenos Aires.
Camicia azzurra col colletto bianco sopra i pantaloni da lavoro, capelli lunghi, barba incolta e sorriso contagioso, Padre Pepe parla del suo vescovo e amico che e’ diventato successore di Pietro.
‘Per me – confessa – e’ difficile chiamarlo Papa, non riesco ancora ad abituarmici. E’ ancora il nostro vescovo, l’uomo che col suo esempio ci ha guidati e che e’ stato sempre al nostro fianco, con poche parole ma con molte azioni. Sempre impegnato in quella che per lui e’ una missione: sconfiggere la miseria combattendo l’emarginazione’.
Entrare nella baraccopoli per un giornalista straniero non e’ facile. Padre Pepe viene ad accoglierci all’ingresso e ci scorta fin dentro la capella dedicata a San Francesco Solano, il missionario spagnolo che nel XVI secolo evangelizzo’ gli indigenti del Nuovo Mondo portandosi appresso un violino. ‘In questa baraccopoli ci sono molte persone oneste che lavorano, operai, padri di famiglia, raccoglitori di metalli e cartone, giovani alla ricerca di un lavoro. Cerchiamo di dare risposte a tutti con i pochi mezzi che abbiamo a disposizione’, spiega Padre Pepe, che ci mostra la sua ‘missione’ ad una cinquantina di chilometri dal centro di Buenos Aires.
‘Rispetto alla baraccopoli dove ho prestato la mia opera per dieci anni, in questa c’e’ maggiore poverta’ ma meno emarginazione. Meno esclusione e meno droga, il vero flagello’, racconta il sacerdote, che ricevette minacce di morte da due narcotrafficanti quando comincio’ a realizzare un piano di recupero per tossicodipenti nella famigerata ‘Villa 21′.
‘Andai da padre Bergoglio e gli raccontai’ delle minacce. Alla prima occasione pubblica, lui denuncio’ l’episodio e sollecito’ l’intervento delle autorita’. Ci ha sempre incoraggiati ad andare avanti col suo esempio. Adesso che e’ diventato Papa non avra’ piu’ tempo per noi perche’ deve occuparsi del mondo intero. Ma ci resta il suo esempio’, dice Padre Pepe, che nelle due stanzette della sua ‘missione’ ospita e sfama madri singole coi loro bambini. ‘Facciamo anche lezioni per adulti che non hanno potuto studiare e prepariamo i giovani ad un colloquio di lavoro’, precisa Padre Pepe, che perde per pochi secondo il sorriso parlando delle accuse di contiguita’ con la dittatura rivolte a Papa Francesco dal giornalista Horacio Verbitsky.
‘Si esasperano i toni per screditarlo: chi lo conosce sa che ha sempre difeso i diritti umani. Le accuse sono politiche e arrivano da una parte del governo’, sostiene Padre Pepe, che ride di cuore quando gli chiediamo se e’ piu’ difficile il suo lavoro di prete di frontiera o quello che ha davanti Papa Francesco. ‘Certamente il suo!’, risponde senza esitazioni. E confessa di aver perso il momento della proclamazione. ‘Ero con i miei ragazzi, mi ha chiamato un amico giornalista e mi ha dato la notizia. Al momento non riuscivo a crederci. Poi ho provato una grande gioia per lui e per noi tutti. Mi dispiace che non potro’ vederlo come facevo prima ma continuo a fare quello che lui mi chiedeva: prego per lui. Stavolta ne ha davvero bisogno’
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